Valentina Sciubba

Psicologa a Roma Terapia Breve e Salute

NOZZE DI CANA e perdita dell'EDEN

Importanza di Maria - Il vangelo oltre le parole

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In questa pagina riporto una mia analisi psicologica del brano evangelico sulle Nozze di Cana effettuata sulle traduzioni più recenti CEI.

Essa è inserita in una raccolta di analisi analoghe dal titolo “Il vangelo oltre le parole” ed. Youcanprint 2011 acquistabile in varie librerie on line o scaricabile al seguente link: Vangelo oltre le parole

Altri commenti o aggiornamenti dell’autrice sono sulla pagina Facebook Maria alle Nozze di Cana.

Pubblico qui anche un’analisi psicologica del brano della Genesi 3, 1-24 sulla cacciata dal Paradiso terrestre, effettuata dietro richiesta di una operatrice del privato sociale.

Buona lettura! 

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" Se la vita e la figura di Maria sono quindi strettamente e indissolubilmente legate al Figlio e sono un mistero per vari aspetti, c’è un episodio nel Vangelo che, se possibile, accresce ancora di più l’importanza di questa donna e il mistero che la avvolge: l’episodio delle nozze di Cana. "

In questo brano sono centrali lo scambio verbale tra Gesù e Maria e il successivo comportamento di quest’ultima.

Nel rivolgersi a Gesù, Maria lo informa che è sopravvenuto un problema che rischia di rovinare il matrimonio: il vino per i commensali è terminato; ella così implicitamente sollecita il Figlio, se può, a fare qualcosa per risolvere il detto problema.

La risposta di Gesù è distaccata e quasi glaciale. Egli anzitutto non chiama Maria “madre”, ma “donna”, termine che rimanda soprattutto al passo della Genesi 3,15-20, laddove Dio, rivolgendosi al serpente, preconizza: “porrò inimicizia tra te e la Donna, tra la tua stirpe e la stirpe di lei…”. Gesù così riconosce il ruolo salvifico di Maria, ma nello stesso tempo come un figlio ormai cresciuto, sembra rivendicare la sua autonomia nelle scelte, nei tempi e modi delle sue azioni. La frase successiva “non è ancora giunta la mia ora” è probabilmente esplicitabile come “non mi è arrivato alcun segno che io debba iniziare a manifestarmi più apertamente agli uomini”.

La risposta comportamentale e verbale di Maria ha dello straordinario. Ciò che il Figlio le aveva appena detto avrebbe probabilmente gelato e frenato chiunque, non lei che invece si direbbe non ne è minimamente scalfita. Inoltre ella, ordinando ai servi di compiere ciò che il Figlio avrebbe detto, mostra un’incredibile sicurezza su ciò che sarebbe accaduto; è come assolutamente certa che Gesù si sarebbe adoperato per il bene, che avrebbe aiutato gli sposi.

L’aspetto forse più importante comunque della risposta di Maria è il suo significato in riferimento all’affermazione di Gesù: “non è ancora giunta la mia ora”. Con il suo comportamento Maria indirettamente dice al figlio che la sua ora è giunta, che è tempo che egli inizi la sua missione e si manifesti al mondo. È Maria che spinge il Figlio nel mondo e, nel far questo, assume un ruolo che nella famiglia è solitamente rivestito dal padre.  

Teorie psicologiche e pratica clinica indicano infatti che solitamente o comunque più frequentemente la madre è la figura che più tende a trattenere nell’ambito familiare i figli, a volte contribuendo a impedirne patologicamente il fisiologico “svincolo” verso l’autonomia, l’indipendenza economica e la realizzazione socio-affettiva; il padre al contrario è solitamente più pronto a favorire e promuovere il percorso del figlio verso l’autonomia.

L’operato di Maria appare anche quel “segno” che Gesù stava aspettando, quel segno che gli facesse capire che i tempi della sua manifestazione erano maturi.  

Ciò mi ricorda anche l’enorme importanza che a volte riveste il consenso dei genitori riguardo alle scelte importanti dei figli nel loro percorso verso l’autonomia. Accade non infrequentemente che questo percorso si blocchi, con inevitabili gravissime conseguenze, proprio per l’enorme desiderio/bisogno da parte del figlio di questo consenso negato. Ciò può avvenire ad esempio se il legame affettivo è troppo stretto e uno dei due protagonisti abnormemente dipendente affettivamente dall’altro. Non è probabilmente questo il caso di Maria e Gesù, considerata la “durezza” della risposta di quest’ultimo a sua madre, la qual cosa denota una discreta e più che giusta “distanza affettiva”. Gesù d’altra parte si era già presumibilmente allontanato dalla sua famiglia di origine: aveva dimorato quaranta giorni nel deserto, aveva chiamato a sé i primi discepoli e probabilmente viveva assieme a loro.

Ad ogni modo, Gesù praticamente “obbedisce” all’invito della madre ad agire, è pronto nel cogliere il momento, l’impulso, il segno dei tempi.

Chi era questa donna così potente da sapere ciò che doveva avvenire e da decidere l’effettivo avvio della missione del figlio nel mondo? Quanto grandi il suo potere e la sua conoscenza dei piani di Dio?

Per il piano di salvezza di Dio sono stati essenziali un uomo e una donna e Maria non appare essere solo lo strumento per la nascita del Cristo, ma una donna con potere decisionale e attiva promotrice della missione di quest’ultimo.

2008

 

LA PERDITA DEL PARADISO TERRESTRE
Commento a Genesi 3, 1-24


Questo brano della Genesi mi sembra imprescindibile per poter capire l’impianto della religione cristiana e probabilmente anche di quella giudaica.

Il capitolo inizia con l’immagine del serpente definito come “la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio” [1] il che pone evidentemente qualche dubbio sulla presenza del male nella creazione. Cercando sul dizionario Sabatini – Coletti la parola “astuto” si trova: “chi raggiunge ingegnosamente lo scopo a prescindere da considerazioni morali”. Il serpente pertanto era l’animale più intelligente, ma anche il più cattivo.  E’, come si vedrà meglio più avanti, una cattiveria che nasce dall’intimo, dal pensiero. C’era in lui il seme della cattiveria, della ribellione, dell’invidia ed è questo stato interno che lo rende astioso, amareggiato, malvagio, infelice.

Il serpente inizia col mettere in cattiva luce il Signore, dipingendolo come Colui che proibisce, limita, molto più di quanto in realtà abbia fatto  (nessun albero) [1]. La donna risponde invece in modo veritiero, riportando fedelmente la prescrizione avuta, come farebbe un servo che riporti quanto ha detto un superiore del quale si fida.
Si può individuare nella frase “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete” anche il ruolo del pensiero, della coscienza, evocatore e quasi “creativo” della realtà. E’ il pensiero, che evoca il male, un pensiero che si forma comunque attraverso il cibo e il tatto.

E’ curioso che nei versetti 4 e 5 il serpente dica una mezza verità (conoscerete il bene e il male), ma in realtà ciò che desidera è che il genere umano conosca il male. Esso è invidioso della serenità, felicità dell’uomo e della donna, vuole che anch’essi sperimentino il male che egli già sperimenta nell’intimo, come si è detto in precedenza.

Perché non migliorare se c’è la possibilità? pensa presumibilmente la donna. Evidentemente c’era e c’è tuttora nell’uomo un anelito a migliorare, il che pone interrogativi sulla possibile evoluzione della creazione. E così la donna resta ingannata: conosceranno il bene e il male, ma in realtà soprattutto il male, perderanno l’amore di Dio e non diverranno come Lui.

L’uomo “le va appresso” come si direbbe con un linguaggio parlato, la segue, si lascia trascinare.

E allora si accorsero di cosa era il male e le parti più dedicate all’amore diventano invece a rischio di ricevere del male, del danno,  e pertanto l’uomo e la donna si coprono [7]. Il male è anzitutto evidentemente la disobbedienza a Dio, perché da essa è derivata la conoscenza del male, di tutto quanto è sbagliato.

Il Signore viene poi forse a controllare o a godere della creazione e la coppia si nasconde perché sa di aver disobbedito [8]. Da qui l’importanza di fare la volontà di Dio e non di altri, come più volte sottolineato nei testi sacri dell’ebraismo e del cristianesimo.

Nel versetto  9 e ancor più nell’11,  Dio cerca l’uomo, vuole che l’uomo gli dica quale intelligenza, quale pensiero (chi) gli ha aperto gli occhi, cosa è successo e perché,  pur probabilmente già sapendolo. Vuole il confronto,  il che rivela un desiderio di relazione, forse anche di una relazione di amore, ma in cui la gerarchia e la differenza dei ruoli vanno rispettate

Nella risposta dell’uomo si legge la consapevolezza di aver sbagliato, di aver disobbedito e il timore dell’ira di Dio, del male che può derivargli, soprattutto dove può fare più male [10]. L’uomo riferisce esattamente ciò che è successo: “è andato appresso alla donna” , si direbbe quasi come un cagnolino, senza troppo riflettere.

La frase che poi il Signore Dio rivolge alla donna è molto più accorata: ormai la conoscenza di ciò che è avvenuto già c’è e pertanto in quel “Che hai fatto?” si può leggere anche un altro interrogativo del tipo: “Come hai potuto tradirmi in questo modo?” la donna riconosce di essere stata ingannata: dal suo atto sono derivati solo danni, come già detto in precedenza,

L’ira di Dio è terribile quando si rivolge al serpente. Questi ha rovinato si potrebbe dire “l’opera delle sue mani”, ha rovinato ciò che era puro e il Suo rapporto con l’uomo. Egli gli predice che sarà quanto più vicino a ciò che è greve: la terra, la materia, e quanto più lontano dal Cielo, da Sé.

Il Signore però poi collega immediatamente [15] quanto avvenuto al futuro quasi intendesse che ci sarà qualcuno che “lo vendicherà” e  rimetterà le cose a posto. E sarà la donna a generare una stirpe che combatta e vinca il serpente, poiché è la donna che genera. Genererà una stirpe, ma anche un uomo perché ambedue i sessi devono contribuire alla riparazione dell’offesa. Il genere umano ha sbagliato e dovrà riparare e pagare per l’errore commesso, e l’uomo probabilmente in quanto sesso forte, pagherà duramente, ma certo pagherà anche la madre. Si parla di stirpe perciò la lotta sarà lunga e durerà per generazioni e alcuni forse più di altri soffriranno o soccomberanno, poiché il serpente comunque “insidierà il calcagno”. La stirpe della donna ucciderà il serpente, prevarrà su di lui. La stirpe evidentemente, in quanto tale, parteciperà della vita dell’uomo e l’uomo della vita divina; come potrebbe infatti un semplice uomo “rimettere le cose a posto”, ricostituire un’armonia creata da Dio?
In queste poche righe perciò sembra esserci il fondamento della dottrina cristiana (la natura umana e divina di Gesù) e il motivo dell’eucarestia: partecipando ad essa infatti, si è, anche materialmente uniti al corpo di Gesù, si diventa la sua umana stirpe.
Mi domando anche quanto questo versetto sia collegato all’interpretazione dell’ebraismo ortodosso secondo cui sono ebrei i discendenti per via matrilineare di madre ebrea.  

Dio predice poi alla donna sofferenze di vario genere predicendo anche quasi un rovesciamento del ruolo di preminenza che sembra aver avuto nei confronti del marito nella disobbedienza alla volontà divina [16].

Con l’uomo l’ira di Dio sembra manifestarsi in modo ancora più violento, come denota la frase “maledetto sia il suolo per causa tua!” che termina con un punto esclamativo. E’ come se desse all’uomo la colpa di aver rovinato tutto. Il consenso dell’uomo pertanto alla disobbedienza sembra essere stato determinante nel far sì che la sofferenza sia entrata dappertutto e accompagni tutta la vita. La vita diverrà difficile e faticosa [18 e 19].
L’ira è talmente forte che Dio umilia, distrugge, annulla l’uomo, gli toglie l’anelito di vita dicendogli “polvere sei e polvere ritornerai!”. Analogamente a quanto si è detto in precedenza il sesso forte sembra essere trattato più duramente.

E di nuovo con il versetto 20 c’è un contrasto tra la sorte che colpirà l’uomo ed Eva che non sarà solo la progenitrice dell’umanità, ma la madre di tutti i viventi, si pone cioè di nuovo l’accento sulla vita.

Nei successivi versetti il Signore si preoccupa di dare agli uomini quanto necessario per sopravvivere (li vestì), ribadisce la differenza di ruoli, di potenza e presumibilmente perciò di natura tra Dio e l’uomo, come anche sottolineato dalla parola “scacciò”, ripetuta due volte e  riavvicina di più l’uomo alla terra [23]. Pone poi ad impedire l’accesso al giardino di Eden e alla vita imperitura qualcosa a cui è difficile avvicinarsi (la spada guizzante), chiude ad oriente dove sorgono il sole e la luce, portatori di vita.

Vengono alla mente di chi scrive delle assonanze con il “generato, non creato” del Credo cattolico di Nicea e con una delle frasi della Vergine della Rivelazione delle Tre Fontane a Roma: “Io sono Colei che sono nella Trinità Divina”.

Il brano mi ricorda anche un sapere contadino che nella potatura e nell’allevamento degli animali preserva l’elemento femminile che deve produrre frutti e generare prole a scapito di gran parte di quello maschile. 

Autrice: Valentina Sciubba
13.8.2019